Nel fare pubblicare l’articolo sottostante mi trovo a disagio, sia per la natura dell’articolo, sia per lo stupore che a scrivere e a propormi di pubblicarlo sia proprio mio figlio, che tutto si può considerare, tranne che un tenerone.
Questa storia però lo ha colpito, forse perché anche lui per parecchio tempo ha fatto esattamente la stessa strada: Torvajanica - Appio/Tuscolana. Lui però aveva la fortuna di farla in automobile. Malgrado questo, protestava tutti i giorni, per il tanto tempo perso a causa del traffico.
- Guido Basso -
Quando il NON progresso uccide
Scrivo questo articolo NON come componente del Comitato di Quartiere, ma come fratello; lo scrivo perché in questi giorni sono venuto a conoscenza della morte di una donna di 34 anni, avvenuta il 18 novembre, per la quale in molti si sono mobilitati e anche io voglio fare la mia parte. Scrivo perché questa donna era una mia coetanea e poco più grande di mia sorella, perché si trovava a fare lo stesso percorso che ho fatto io per tanto tempo e perché quello che le è successo, l’ho sentito molto più vicino di quanto fosse normale, per una persona che in fondo non conoscevo affatto.
Molti di voi si chiederanno, perché?
Quante persone di 34 anni muoiono ogni giorno?
Cosa ha di speciale questa donna rispetto agli altri?
Questa donna, Isabella Viola, madre di 4 figli, lavorava presso un bar di via Nocera Umbra – zona Appio Tuscolano, come riporta Il Messaggero nell’articolo a firma Laura Bogliolo. Come chi scrive, Lei abitava a Torvajanica e come molte persone, per andare a lavorare era costretta a svegliarsi non all’alba, ma ancora prima - quando il buio della notte avvolge i palazzi e l’abitare al mare o in montagna fa poca differenza, perché tanto non vedi nulla, se non le strade illuminate dalle luci dell’illuminazione pubblica. Faceva tutto questo, per usufruire dei mezzi pubblici, quei mezzi pubblici che per portarti da Torvajanica a Via Nocera Umbra (Appio Tuscolano), ti obbligano a fare mille giri. Quei mille giri, mille cambi di autobus e metro che, se invece di essere così numerosi fossero solo la metà, forse potrebbero farci vivere meglio o in questo caso potremmo dire, VIVERE e basta.
Non ritengo normale che nel 2012, anzi 2013, per fare 35 Km in una città come Roma, una persona per andare a lavorare debba fare tutta questa trafila, svegliandosi alle 4 del mattino per poi fare la sua ultima telefonata alle 7, chiamare una collega a lavoro e dire “sto arrivando”. Non è normale. Non è normale:
- prendere il bus del Cotral, pieno come un carro bestiame, che percorre la Pontina perennemente bloccata dal traffico, causa incidenti (vedi Repubblica.it Via Pontina, oltre 7 incidenti a chilometro);
- arrivare alla stazione Laurentina, poi prendere la metro B;
- fare il cambio a Termini per entrare nei vagoni affollati della linea A, come se non fosse bastato il carro bestiame del Cotral;
- arrivare finalmente a Furio Camillo.
Come riporta Laura Bogliolo, Il Messagero, “Da tempo Isabella non si sentiva bene, ma ha continuato a lavorare. È morta per un malore, da sola, sotto la metro, sulla banchina della stazione Termini una domenica mattina, era il 18 novembre. Alcuni passeggeri hanno cercato di soccorrerla portandola fino alla banchina della stazione Termini. Vigili del fuoco e dipendenti Atac hanno cercato di assistere la donna che aveva difficoltà respiratorie. Le sue condizioni si sono aggravate velocemente.
Poco prima aveva chiamato la collega alle 7: «Sto arrivando» aveva detto. Poi non si è saputo più nulla di lei. A dare la notizia al quartiere un dipendente dell'Atac che abita vicino al bar: lui c’era, lui l’ha vista, lui ha raccontato a tutti che quella donna morta sotto la metro era la Isabella del bar, la ragazza che aveva trasformato un piccolo locale nel ritrovo della zona, la mamma con l'anima vera di chi la vita se l'è sempre conquistata. La gente del quartiere l'aveva capito, l'amava per questo e ora pensa ai suoi piccoli..”
E’ per gente come Isabella che il Comitato di Quartiere si batte per avere il “Trenino Pontino”. Non per interessi personali, ma per il bene comune. Perché Isabella per me poteva essere una sorella, e per altre persone era un’amica, una moglie, ma soprattutto era una madre.
Un madre che quest’anno non passerà il Natale con la propria famiglia perché ha sacrificato tutto quello che aveva, e nonostante tutto, lo faceva per un motivo, quel motivo riportato come ultima frase sul suo profilo Facebook: «Una donna il suo gioiello più prezioso non lo indossa, lo mette al mondo».
Ci batteremo ancora e ancora per fare in modo che anche questa tragedia sia l’ultima, perché ai cittadini servono servizi utili e non progetti campati in aria.
Attualmente nella zona di Roma Sud viviamo nel limbo dell’immobilità pubblica, perché qui la mobilità è un argomento di cui è meglio parlare a bassa voce. Qui, dove per arrivare dal Villaggio Azzurro a Vitinia - 2 km e non 35 km come faceva ogni giorno Isabella - ci vuole un’ora e mezza, perché bisogna pendere l’autobus 705 scendere a Eur Fermi, prendere la metro B scendere a Eur Magliana prendere il Trenino Roma-Lido e scendere a Vitinia, questo non è più ammissibile.
Ci auguriamo di raggiungere il nostro obiettivo e una volta raggiunto ci batteremo perché una fermata di questa Metropolitana leggera che unisce Roma con l’area pontina venga intitolata ad Isabella Viola - amica, figlia, moglie, ma soprattutto, madre.
Abbiamo contattato la redazione de “Il Messaggero” per poter fare un versamento. Ci hanno risposto che il marito avrebbe aperto un C/C sul quale si potrà effettuare una donazione, anche simbolica, o il versamento di una somma di denaro per aiutare la famiglia. In alternativa si potranno fare dei doni da consegnare alla famiglia di Isabella affinché questo Natale, anche se triste, lo possano passare nel modo meno doloroso possibile, sentendo il calore della gente comune, sicuramente più forte dell’aiuto dato dalle istituzioni.
Questa mattina, poco prima di pubblicare l'articolo, abbiamo appreso dal sito de "Il Messaggero" che il marito, Alessandro Rossi, ha attivato un conto corrente Banco Posta «per dare seguito alle centinaia di richieste arrivate: Iban IT32W0760103200001009910611 intestato ad Alessandro Rossi»